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“A TUTTO CECHOV”
24 Febbraio ore 20:30 - 26 Febbraio ore 17:00
A differenza di tanti letterati di tradizione, l’ingresso nella scrittura di Anton Cechov è stato praticamente dettato dal caso. Cechov in realtà era un medico che per arrotondare iniziò a scrivere, e forse proprio questo suo essere un outsider degli intellettuali gli ha permesso di dar vita, con le sue opere, a un realismo spinto, presentando le vite dei suoi personaggi con brevi flash, inchiodando i protagonisti delle sue vicende in un unico attimo significativo, proprio come avviene quando un dottore analizza il suo paziente.
A differenza del contemporaneo Georges Feydeau, che prendeva di mira l’alta borghesia francese, Anton Cechov prende invece come riferimento la borghesia russa emergente presentandone i tic quotidiani, i piccoli difetti e le ansie di potere.
I corti che presentiamo, tutti precedenti i grandi capolavori che lo hanno reso famoso, sono dunque tratti da racconti della vita quotidiana, in cui vediamo rappresentati, anche con leggerezza, non tanto veri e propri personaggi dotati di un certo spessore psicologico, ma tipi umani, semplici abitanti della provincia o della città.
Allora apriamo questa finestra, partendo da un famoso monologo: “Sul danno del tabacco”. Scritto nel 1886, il protagonista viene appellato dallo stesso Cechov come “il marito di sua moglie”. E questa definizione la dice lunga sulla condizione di un uomo praticamente martirizzato da una moglie dispotica che costringe il marito, fumatore, a tenere una conferenza sui danni del tabacco.
Il prossimo corto, famoso anch’esso, è intitolato “L’orso”. Scritto nel 1888, racconta di una vedova che rinchiusa nel proprio dolore rifiuta qualsiasi contatto con l’esterno fino a quando viene scossa dalla visita di un rozzo proprietario terriero, una specie di “orso” privo di qualsiasi regola o convenzione sociale – ma forse anche senza falsi perbenismi – che irromperà a turbare la solitudine della donna.
“La morte dell’impiegato”, scritto nel 1883, è un monologo in cui Cechov tratteggia la figura del piccolo borghese, invischiato fino al collo di convenzioni e servilismi nei confronti delle figure altolocate, della cosiddetta “autorità”. Una miscela, convenzioni e servilismo, che a volte può condurre a tragiche conclusioni.
“Una domanda di matrimonio”, scritto nel 1888, ci racconta di un giovane ricco proprietario terriero, esponente di quella emergente borghesia di cui dicevamo sopra, che si reca a far visita al proprio vicino di casa per chiedere la mano della figlia.
Chiudiamo lo spettacolo con un esilarante corto, dal titolo “Un dramma”, che ci racconta un diverso modo di rapportarsi all’”autorità”, in cui l’ansia di potere non si fa alcuno scrupolo di sfruttare il “potente”. Ma non sempre le cose vanno nel verso desiderato.
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