Atto unico in tre quadri

Gli attori sono bugiardi. E tanto più sono bugiardi, quanto più riescono a farci dimenticare di esserlo. I greci li chiamavano ypocrites: quelli che fingono.

Nel caso degli attori, tuttavia, si assiste ad una strana schizofrenia perché l’attore, che pure ha provato e riprovato la sua parte, e l’ha magari rappresentata diecine di volte, ogni volta finisce – anzi: deve finire – con l’identificarsi con il personaggio che rappresenta, pur sapendo benissimo di non esserlo. L’attore è un ossimoro: un bugiardo sincero.

Il che non esclude che gli attori nella vita siano bugiardi insinceri, aiutati dal grande allenamento e alle prese con un ambiente che riproduce all’ennesimo grado le ipocrisie della società degli uomini.

Questi gli ingredienti di un girotondo teatrale, nel quale si rincorrono finzioni incarnate da personaggi di vario genere, che portano sulla scena le loro ipocrisie e umane debolezze: la vanagloria del grande attore, la perfidia spietata della diva del palcoscenico, l’opportunismo viscido dell’attore di second’ordine, l’arrivismo della figlia del produttore.

Il tutto a svolgersi, come si conviene all’essenza stessa della messinscena, per il piacere (si spera) catartico degli spettatori.